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Dare un nome alle cose: deumanizzazione ed oggettivazione sessuale.


“Ma è solo una battuta!”
“Ma è tanto per dire!”

“L’ho chiamata così per ridere, solo perché siamo tra di noi”

Oramai sono diventata un’esperta di discussioni in pizzeria, specialmente con amici e parenti. C’è chi mi taccia di “perbenismo” o semplicemente di essere una rompiscatole, eppure io continuo. Proprio in questi giorni ho terminato Deumanizzazione” di Chiara Volpato; un bellissimo saggio che spiega quanto possa essere facile legittimare la violenza (di ogni genere o misura).

Deumanizzare significa letteralmente negare l’umanità altrui ed è la forma più radicale di svalutazione dell’Altro. Non sto qui ad elencare esempi espliciti (ed estremi) di questo fenomeno; c’è chi ci ha dedicato libri o interi corsi di studi e quindi non mi aspetto di poter esaminarne tutte le sfumature in un breve post come questo.

Vi basti pensare che nel 1486 si faceva riferimento alla “naturale inferiorità delle donne” per giustificare la morte e la tortura di donne ai margini della società (per approfondire: https://thevision.com/cultura/femministe-streghe-rogo/) e che alla base del genocidio dei nativi americani vi era l’ideologia colonialista che equiparava le popolazioni indigene a bestie, “esseri selvaggi ed ostili (…) di natura subumana”[2]. Per gli studenti ed appassionati di psicologia sociale, invece, mi basterà nominare l’Esperimento di Standford (Zimbardo et al.), affascinante ed agghiacciante al tempo stesso[3]. Tuttavia,


Esistono forme meno appariscenti, più sottili e quotidiane, che ci portano a percepire gli altri non come esseri inumani, animali o mostri, ma come individui solo un po’ meno umani di noi”.

Chiara Volpato, Deumanizzazione – come si legittima la violenza (p.68) – Editori Laterza.

L’oggettivazione sessuale (o sessualizzazione) ne è un esempio! Approfondito negli ultimi anni dal movimento femminista, il costrutto di “sessualizzazione” viene utilizzato per descrivere quelle situazioni in cui il valore di una persona viene misurato esclusivamente in base alla sua capacità di attrazione sessuale. La persona è un oggetto che da/può dare piacere ad altri, incapace di agire o decidere in modo autonomo.



“io non sono cattiva è che mi disegnano così”

Janet Swim nel 2001 ha condotto, insieme ad altri colleghi, tre studi per documentare la sessualizzazione quotidiana (“everyday sexism”) di studenti e studentesse universitari/e attraverso l’uso di diari che permettevano di registrare e catalogare tutti gli episodi di oggettivazione che avvenivano nell’arco della giornata (persino i più piccoli ed apparentemente insignificanti). Se capite un po’ d’inglese leggetevi tutto lo studio [4] perché ci sono tanti spunti interessanti per rispondere alle frecciatine di quegli amici che adorano dire “ma è una battuta!” ogni volta che li imbeccate…..

Oltre alla diminuzione del benessere psicofisico, una conseguenza ancor più triste di questo fenomeno riguarda la tendenza ad introiettare la prospettiva dell’osservatore (lo “sguardo oggettivante”). L’“auto-oggettivazione” è il processo mediante il quale donne, ragazze e bambine imparano a pensare a se stesse come ad oggetti del desiderio altrui ed influisce sull’aumento di emozioni negative legate al proprio corpo: dodicenni che navigano su internet o sfogliano un giornale in attesa che la mamma esca dal dentista, vengono bombardate da messaggi che provocano ansia e vergogna rispetto alla propria “inadeguatezza” ed alla propria incapacità di trasformarsi nel “modello ideale” di donna che, paradossalmente, poi finiscono spesso per odiare proprio perché non sono in grado di raggiungere.

Secondo Chiara Volpato, il continuo richiamo al proprio aspetto fisico funge da “distrattore”: interrompe la concentrazione durante quei momenti di picco in cui siamo concentrati in un’attività mentale o fisica che potrebbe procurarci felicità, gioia o soddisfazione: “ma avranno visto la mia pancia?” pensa la me-8enne durante un salto troppo energico che porta la mia maglietta a svolazzare allegramente, “ma in questa foto ho il doppio mento” pensa la me-26enne guardando una foto in cui rido bellamente in mezzo ai miei amici. Inoltre,

Pensare ossessivamente al corpo confrontandolo con gli standard culturali dominanti lascia poche risorse cognitive disponibili per altre attività mentali e fisiche”.

Chiara Volpato, Deumanizzazione – come si legittima la violenza (p.129) – Editori Laterza.

Ed ecco che questo fenomeno si lega, in adolescenza, anche a risultati scolastici meno soddisfacenti e alla diminuzione delle ambizioni ed aspirazioni formative e/o professionali.

Ma di chi è la colpa? I media hanno senz’altro un ruolo fondamentale (anche se, ovviamente, non esclusivo!). Malkin, Wornian e Chrisler nel ’99 hanno analizzato per 6 mesi le copertine di famosi magazine trovando che nel 78% delle riviste femminili venivano promossi messaggi inerenti all’aspetto fisico (spesso legati a diete e perdita di peso). Fouts e Burggraf, invece, si sono dedicati allo studio dei dialoghi nelle serie tv – tra cui il mio tanto amato Friends – sottolineando il potere dei commenti maschili sui corpi dei personaggi femminili (spesso accompagnati da risate o applausi).

Come possiamo contrastare l’oggettivazione sessuale?

Educando all’uso responsabile delle parole e delle immagini, aiutando a sviluppare un pensiero critico su quelle parole e su quelle immagini… alcune esperienze positive ?

Jameela Jamil #iweigh


–> www.iweighcommunity.com (@i_weigh su instagram). Il movimento nasce da uno scatto su instagram che ritrae le sorelle Kardashian etichettate con il loro rispettivo peso in kg, riportato da un profilo ig chiamato @themillionlady. A peggiorare le cose, una domanda nella didascalia: “e tu che peso sei?”. Jameela Jamil (attrice che forse potete aver conosciuto grazie a “The Good Place” su netflix) ha deciso di reagire lanciando l’hashtag #Iweigh ed invitando i propri follower (e non solo) a parlare di quello che davvero “pesa” nella loro vita: amicizie, amori, successi lavorativi o personali, la convivenza con problemi psicologici o patologie, valori e passioni.

la foto incriminata

–> https://www.frizzifrizzi.it/2018/06/29/controverso-un-dizionario-illustrato-su-instagram-per-riflettere-sul-potere-delle-parole/

“Dato che sono le parole a definire chi siamo e l’esperienza che facciamo del mondo, ed è attraverso di esse che costruiamo e condividiamo la narrazione di tale esperienza, si tratta di un argomento di importanza fondamentale. Argomento che l’illustratrice e graphic designer Sara Stefanini, svizzera di origine, milanese d’adozione, ha preso molto a cuore. «Le parole hanno preso un’importanza diversa, sono diventate volatili e spesso troppo leggere, vivendo il tempo di un post anche (e purtroppo) nella vita reale», mi ha spiegato parlando del suo progetto più recente, che si chiama Controverso.

cliccate sul link per saperne di più!

[1] https://www.deviantart.com/rubyrouge649/art/Why-Jessica-Rabbit-is-Misunderstood-640283672
[2] https://www.amazon.it/Deumanizzazione-Come-si-legittima-violenza/dp/8842096040
[3] https://www.stateofmind.it/2015/06/esperimento-stanford-zimbardo/
[4]www.researchgate.net/publication/227629211_Everyday_Sexism_Evidence_for_Its_Incidence_Nature_and_Psychological_Impact_From_Three_Daily_Diary_Studies

5 pensieri riguardo “Dare un nome alle cose: deumanizzazione ed oggettivazione sessuale.

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